Per gli amici del blog ecco uno stralcio tratto dal nuovo romanzo. Si tratta di un simpatico quadretto nel quale i lettori troveranno un personaggio già noto e al quale spero si siano affezionati.
Sparviero era un uomo pratico.
Se ne stava seduto, anzi stravaccato sullo scanno, con la schiena appoggiata al muro, le gambe distese e le braccia ciondoloni, senza fare una piega: lui non aveva fretta.
Lasciò che il poveretto ingollasse il sorso di vino rimasto sul fondo e svuotasse il boccale fino all’ultima goccia. Adinolfi e Sua Grazia potevano aspettare: in fin dei conti, se quell’uomo si era rotto la schiena a cavallo, non lo aveva fatto per suo piacere e perciò aveva tutto il diritto di riprendere fiato. Lanciò uno sguardo al soriano che gli si stava strofinando contro gli stivali con la schiena inarcata e, a giudicare dalla sonorità delle fusa, satollo di soddisfazione. Considerò che quello era un animale fortunato: poteva godersi il calduccio fra le pareti della casamatta e di tanto in tanto arraffare qualche avanzo lanciatogli dal personale di guardia. Il pensiero non poté non volare a Gelinda: la donna detestava i gatti, tutti e senza eccezione per nessuno, e gli incauti che si azzardavano ad accostarsi all’uscio di casa venivano immancabilmente presi a scopate.
Dopo una frequentazione durata poco meno di un anno, per lo più portata avanti a colpi di sesso sfrenato, lui e Gelinda si erano decisi a compiere il gran passo, grazie anche alla dote generosa messa a disposizione dal conte Roggero, testimonianza concreta della gratitudine del signore per quello che la giovane aveva fatto in occasione della vicenda di quasi tre anni prima. Adesso, lui e Gelinda vivevano nella stessa casa, quella di lei, posta appena fuori delle mura. A onor del vero, non tutti nella cittadella avevano accolto l’evento col sorriso sulle labbra, anzi. Pettegolezzi e lazzi erano partiti dai rappresentati di ambo i sessi, seppure con motivazioni divergenti.
Sul versante femminile, i motteggi più diffusi avevano preso di mira il passato recente di Gelinda. A questi si erano poi aggiunte le invettive acide di qualche pia donna che, non essendo più nel fiore degli anni, ben volentieri si sarebbe vista al posto di lei, anche se nel segreto delle proprie aspirazioni. Sul versante maschile, invece, più di un marito aveva digerito di mala voglia quelle nozze celebrate sotto tono e quasi di nascosto: col matrimonio di Gelinda si vedevano sprangare in via definitiva l’accesso alle scappatelle che, secondo un punto di vista del tutto personale, aggiungevano il giusto pizzico di sale al piatto sciapito della minestra quotidiana.
L’uomo si pulì l’angolo della bocca con l’estremità della manica e sostò con lo sguardo in direzione di Sparviero. L’espressione da rapace del capitano lo incuriosiva e intimoriva allo stesso tempo. D’un tratto si rese conto che l’ufficiale stava aspettando lui e accennò a un gesto di scusa.
– Così va molto meglio, grazie. Sono pronto e, se volete, potete accompagnarmi da messer Adinolfi.
Si alzò in maniera brusca, facendo ribaltare lo scanno che crollò sul pavimento con un tonfo. Il gatto schizzò di lato col pelo dritto e saettò soffiando verso la porta. Giovanni scoppiò in una risata divertita e spalancò l’uscio, liberando la via alla fuga del felino.
– Andiamo – esortò Sparviero afferrando il mantello di lana. – Giovanni, vieni anche tu.
Si avviarono di buon passo per le strade buie e maleodoranti della cittadella in direzione della piazza principale, il luogo dove sorgeva il palazzo del signore, ma anche quello nel quale si svolgevano gli eventi più importanti della vita sociale, incluse le esecuzioni capitali. Per fortuna l’allestimento della forca restava un avvenimento raro, grazie in primo luogo all’attività di prevenzione anticrimine esercitata con solerzia dagli uomini di capitan Sparviero.
Non un’anima viva incrociò il cammino dei tre uomini e le porte sprangate riproposero lo stesso messaggio consegnato ogni sera agli improbabili passanti: la cittadella si richiudeva su sé stessa in attesa dell’indomani, quando il sorgere del nuovo giorno avrebbe restituito ognuno alla propria occupazione e alle fatiche imposte dalla quotidiana sopravvivenza.