Presentazione

Questo spazio, amici lettori, è dedicato a voi.


Nato inizialmente per presentare al pubblico il mio primo romanzo, La signora del borgo
, il blog ha registrato subito le prime recensioni dei lettori e si è arricchito successivamente di molti altri argomenti che non erano soltanto quelli relativi ai temi trattati nel romanzo. Col trascorrere del tempo il blog si è caratterizzato sempre più come uno spazio multitematico, riempito soprattutto dai tantissimi commenti dei frequantatori, alcuni dei quali veri e propri fedelissimi, presenti sin dalla nascita del blog e tutt'ora attivi.

La pubblicazione del secondo romanzo, La fucina del diavolo, anch'esso edito per i tipi di Bastogi, insieme con le immancabili recensioni, ha ulteriormente alimentato i temi di discussione, accentuando il carattere del blog di volersi presentarsi come spazio aperto ma anche con uno stile proprio. Uno stile che lo ha contraddistinto sin dall'inizio e che, per certi versi, lo ha reso unico fra i tanti spazi interattivi presenti nel web: moderazione negli interventi e mantenimento del confronto sul piano delle opinioni.

Tutti coloro che vogliono far sentire la propria voce sono dunque i benvenuti e tutti devono sentirsi liberi di trattare gli argomenti che ritengono possano essere di interesse degli altri partecipanti alla vita del blog. Riservo a me stesso il ruolo di moderatore, ruolo che, per altro e fino a ora, non ha mai avuto motivo di andare oltre l'invito a tenersi nei limiti tracciati dagli stessi frequentatori.

Bene arrivati a tutti, dunque, e fatevi sentire.

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Spizzicando nella quotidianità

9 Settembre 2011 - Pensiero del giorno

La vita è come un aquilone, legato a un filo tenuto dalla mano infantile del fato.


17 febbraio 2012

Il pensiero va a Giordano Bruno, arso in Campo dei Fiori. Da allora si sono spente le fiamme del rogo, ma non quella della libera investigazione sulla natura dell'universo e dell'uomo.


14 marzo 2012

All'essere umano non è dato scegliere se essere o no intelligente, in compenso gli è dato scegliere se comportarsi da stupido.


7 Aprile 2012

Agli amici del blog i miei auguri per un rinnovamento radicale del loro Essere e che questa luna piena di Primavera faccia risorgere in loro, risplendente di nuova luce, la gioia per la Vita nel e per il Bene.

Le interviste a Ennio Valtergano

La Signora del borgo è stata ospite di Container, il programma culturale di Radiogoccioline, la radio web a diffusione globale.

Per riascoltare l'intervista trasmessa da Radiogoccioline clicca qui


Servizio TV sulla presentazione di Reggio Calabria del 28.12.2010

Per gli amici che lo desiderino, è possibile guardare il servizio sulla presentazione del 28.12.2010 a Reggio Calabria.

Il servizio, completo di intervista, è stato trasmesso da ReggioTV nel corso del Telegiornale del 29-12-2010 ore 14.

Per guardare il servizio, entrare nella Home Page di RTV e cercare, dopo aver cliccato nel riquadro "Guarda il telegiornale", il tg del 29-12-2010 ore 14. Servizio TV sulla presentazione di Reggio Calabria del 28.12.2010

Leggi l'intervista all'autore e la recensione al romanzo pubblicate l'8 marzo 2011 sulla rivista on-line Mondo Rosa Shokking , a cura di Carlotta Pistone

http://www.mondorosashokking.com/Morsi-Dal-Talento/Intervista-a-Ennio-Valtergano/


http://www.mondorosashokking.com/Dalla-Libreria-Rosa-Shokking/La-Signora-del-borgo-di-Ennio-Valtergano/


Una nuova intervista è stata pubblicata al link sottostante

http://www.ilpiacerediscrivere.it/intervista-ad-ennio-valtergano/



martedì 15 marzo 2011

LA FUCINA DEL DIAVOLO - Prologo

       La sagoma tozza e tondeggiante si disegnò per un breve momento sul selciato sudicio e maleodorante del vicolo: la luna piena, luminosissima nel cielo terso di gennaio, ne aveva proiettata l’ombra staccandola dall’oscurità informe e protettiva del muro. L’uomo maledisse in cuor suo l’astro notturno e si ritrasse rapido come un ratto, appiattendosi quanto più poteva a ridosso della parete tirata su con blocchi di pietra arenaria a mala pena smussati. C’era mancato poco che la sua presenza non fosse notata dalla ronda, ma per fortuna gli armigeri tirarono innanzi senza accorgersi di nulla. Immobile, i nervi tesi, li udì proseguire con passo malamente cadenzato e reso incerto dai boccali di vino tracannati appena prima di cominciare il giro di ispezione. Ci sarebbe voluto ben altro, pensò lui, per difendersi dai rigori delle notti di gennaio... Con l’eco delle voci e delle risate sguaiate si allontanò anche il tanfo dolciastro diffuso dagli aliti avvinazzati. Ancora più guardinga e circospetta, la figura avvolta nel mantello logoro e scolorito valutò la distanza da coprire fino alla meta: il piccolo edificio fatiscente prospiciente le mura perimetrali di settentrione. Quello adiacente al macello.
       L’uomo era riuscito a penetrare all’interno della cittadella poco prima della chiusura delle porte, allo scoccare della dodicesima ora. Vestito come un mendicante, il cranio pelato nascosto sotto l’ampio cappuccio, era passato sotto lo sguardo degli uomini di guardia al seguito di un mercante di pellami e cuoio e del carro stracolmo di mercanzie. Per maggior precauzione aveva finto di claudicare vistosamente, procedendo con andatura malsicura e appoggiandosi con entrambe le mani al bastone bitorzoluto, costellato di nodi per quasi l’intera lunghezza. Il mercante gli aveva assicurato la propria complicità in cambio di due fiorini d’argento: nel caso ci fossero state noie da parte delle guardie, avrebbe detto che il povero disgraziato al seguito era un aiutante occasionale cui ricorreva quando aveva da trasferire un carico particolarmente ingombrante. Ma anche in quel caso la sorte non si era mostrata avversa: di là di qualche sguardo sprezzante e di un paio di ghigni beffardi, nessuno degli armigeri aveva mostrato interesse più di tanto e, soprattutto, nessuno lo aveva riconosciuto. Superato quel primo ostacolo, aveva atteso la complicità delle ombre della sera, evitando accuratamente i luoghi frequentati. Non aveva dovuto aspettare troppo: d’inverno faceva buio presto.
       L’uomo stette in ascolto ancora per un istante. Rassicurato dal silenzio, si guardò un’ultima volta intorno, senza dimenticare le finestre che davano sul vicolo: le imposte erano tutte serrate e dall’interno non filtrava neppure un barlume di luce. Si fece coraggio e si lanciò di corsa per il budello tenendosi radente al muro. Un attimo dopo la sagoma era scomparsa oltre la svolta, inghiottita dalle tenebre della notte.
      
       I colpi alla porta la sorpresero mentre si accingeva a infilarsi sotto la pesante coltre di lana grezza. Non aveva ancora spento la lampada. Si batté un colpo sulle natiche voluminose e flaccide biascicando oscenità irripetibili all’indirizzo dell’intruso: chi mai poteva essere in un’ora tanto insolita? Che lei ricordasse, non aspettava nessuno. Men che mai immaginava che qualcuno potesse avere bisogno di lei. Diffidenza e timore le suggerirono di stare in guardia. Afferrò la lampada e si diresse verso la porta che dava sulla rampa di accesso allo scantinato. Appoggiò l’orecchio in corrispondenza della fessura tra porta e battente.
       – Chi è? – chiese con voce roca e sgraziata. – Che diavolo volete a quest’ora?
       – Apri – fu la risposta dall’altra parte dell’uscio. – Ho bisogno di parlarti… Non te ne pentirai.
       La donna riconobbe la voce all’istante. No, non poteva essere che fosse proprio lui, si disse incredula. Ci mise un momento per riprendersi dalla sorpresa e, tenendo la lampada sollevata al di sopra del capo, aprì quel tanto da poter sbirciare di traverso.
       – Voi qui? – sussurrò sgranando gli occhi. – Ma non dovevate…
       – Sta’ zitta e lasciami entrare – ribatté l'altro. – Per te ci saranno queste, se avrai la bontà di ascoltarmi.
       Mentre parlava a voce bassa, infilò la mano nella striscia di spazio tra lo stipite e la porta, scuotendo il minuscolo sacchetto rigonfio: ne sortì un tintinnio promettente. L’espressione di avidità sul volto della donna accompagnò il cigolio della porta dischiusa con circospezione, mentre gli occhi esploravano la sommità della scala alla luce fioca e incerta del lucignolo alimentato con sego. Rassicurata, richiuse l’uscio alle spalle dell’uomo che nel frattempo si era intrufolato nel locale squallido e freddo. Il visitatore inatteso fece scivolare via il cappuccio dalla testa e per un momento squadrò con aria sorniona la donna dall’aspetto di megera.
       – Di’ la verità: non ti aspettavi di vedermi, vecchia strega… non è così?
       Lei era senza parole. Reggendo la lampada a mezz’altezza fissò la figura che aveva di fronte con stupore misto a preoccupazione: no, decisamente era l’ultima persona che avrebbe immaginato di vedere.
L’altro non attese risposta. Si avvicinò a quel che restava del tavolo tarlato e vi gettò sopra il sacchetto aperto. Parte del contenuto rotolò per la superficie irregolare, diffondendo nella penombra il suono argentino prodotto dalle monete mentre si urtarvano l’un l’altra prima di arrestarsi del tutto.
       – Questi sono per te. Ma stavolta dovrai servirmi bene. Contali. Sono trenta fiorini d’argento.
       Lo sguardo della donna rimase sospettoso ancora per un istante. Poi l’avidità prese il sopravvento e la vista dell’inopinata dovizia le fece abbandonare ogni diffidenza. Si catapultò verso il tavolo avvicinando al denaro la luce tremolante della lampada.
       – Qualunque cosa dovrò fare, questa volta sarà fatta bene… potete contarci.
       Si piegò in avanti di scatto: le dita afferrarono le monete una dopo l’altra, in rapida successione.
       – Sì, ci conto – ribatté l’uomo alle sue spalle.
       Si mosse veloce come un gatto, a dispetto della corporatura goffa e abbondante. La mano sinistra si posò sulla bocca della donna e, con uno scatto repentino, l’uomo tirò a sé la testa della malcapitata impedendole di urlare. Per un attimo, avvertendo il corpo di lui a stretto contatto con la parte bassa della schiena, la donna pensò a un impeto improvviso di lussuria: che diavolo, si disse, avrebbe potuto chiederglielo in altro modo! Lei sarebbe stata ben contenta di assecondarne le voglie se solo…
       La lama, fredda, inesorabile, le si conficcò all’altezza del cuore. Il gemito soffocato inumidì la mano del carnefice che non abbandonò la presa fino a quando il corpo non si afflosciò senza vita.
       Con la freddezza del sicario incallito, il misterioso individuo ripulì il pugnale e la mano grondanti di sangue strofinandoli più volte sulla veste della vittima. Raccolse dal tavolo le monete, le ripose nel sacchetto e uscì, avendo cura di richiudere la porta alle proprie spalle. Si infilò per la rampa e, una volta all’aperto, si guardò intorno: nessuno. Il puzzo delle frattaglie in putrefazione proveniente dall’interno del macello lo afferrò alle narici. L’uomo si coprì bocca e naso con un lembo del mantello e si portò dalla parte opposta del vicolo. Bene, rifletté tra sé e sé, il cadavere della donna non sarebbe stato scoperto tanto presto: la temperatura gelida del tugurio ne avrebbe rallentato la decomposizione e, in ogni caso, il fetore proveniente dallo scantinato si sarebbe confuso per qualche tempo con quello che ristagnava ogni giorno nei dintorni. Dunque, non vi era motivo di agire con precipitazione e rischiare di commettere qualche imprudenza per la fretta: avrebbe avuto il tempo necessario per lasciare la cittadella in tutta tranquillità.
       La luna illuminò per un istante la faccia dell’uomo: l’espressione, feroce e soddisfatta, era tutta condensata nella piega del ghigno sinistro stampato sul volto.
      
       Il paesaggio attorno a lui gli era del tutto sconosciuto. Per evitare di correre rischi e fare incontri indesiderati aveva preferito tenersi lontano dalle vie di comunicazione frequentate normalmente dai viandanti e si era addentrato nelle contrade del Montefeltro percorrendo sentieri poco battuti. Si guardò in giro alla ricerca di qualche riferimento utile all’orientamento: era trascorso ormai un bel pezzo da che aveva preso a costeggiare il torrente Voltre in direzione di Forlì e dunque doveva essersi spinto per un buon tratto nella Valdinoce. Arrestò il cavallo per poter osservare meglio i dintorni, mentre lo sbruffo dell’animale si condensava in una nuvoletta grigiastra. Nonostante il mezzogiorno non fosse trascorso da molto, considerò con disappunto il cavaliere, faceva decisamente freddo e l’umidità del luogo gli stava penetrando sin dentro le ossa. L’uomo si avvolse ancor più nel mantello e diede sfogo al proprio malumore mormorando un’imprecazione a denti stretti.
       Aveva lasciato la cittadella al tramonto di tre giorni prima. Uscirne era stato meno difficile di quanto temesse: mescolatosi al nugolo di mendicanti costretti ad abbandonare il perimetro delle mura prima che fossero chiuse le porte, aveva potuto oltrepassare il corpo di guardia senza difficoltà, confuso al manipolo sudicio e lamentoso dei derelitti che, come d’abitudine, si riversava ogni mattina nelle vie della cittadella per poi abbandonarle, al termine della questua, all’approssimarsi della dodicesima ora. Liberatosi degli stracci usati per il travestimento, a sera inoltrata e dopo una scarpinata di circa tre ore, aveva raggiunto la locanda presso la quale aveva lasciato in custodia la propria cavalcatura. Con questa, ai primi chiarori del mattino successivo, aveva ripreso la strada alla volta di Bologna.
       Al comando del proprio cavaliere, il baio riprese l’andatura regolare e la tenne per un buon tratto sino a quando, d’improvviso, si impuntò e per poco non fece perdere l’equilibrio a chi gli stava in groppa. Lui, assorto nei propri pensieri, non si aspettava una manovra tanto brusca e riuscì a stento a restare in sella. Insensibile ai colpi di sperone, il cavallo non volle saperne di rimettersi in movimento: le zampe anteriori irrigidite, se ne stava immobile come se avvertisse un pericolo imminente.
       Il comportamento insolito della bestia fu seguito quasi subito da un fatto ancora più insolito: una serie di boati squarciò l’aria in rapida successione. Si sarebbero detti dei tuoni, se non fosse stato che il cielo era completamente terso. Istintivamente l’uomo alzò il capo per guardare in alto e proprio in quel momento la volta celeste parve attraversata da bolidi di un bagliore accecante nonostante fosse pieno giorno. Il cavaliere rimase sbigottito, intimorito per la stranezza dell’evento. Che non si fosse trattato di uno scherzo dell’immaginazione, tradita dalla stanchezza e dalla tensione legata all’omicidio commesso tre notti avanti, lo testimoniavano le misteriose scie biancastre ancora visibili sopra la propria testa.
       Fu assalito da un senso di cupa inquietudine e restò immobile, incerto sul da farsi. Ben presto, l’inquietudine prese la forma di una domanda densa di angoscia: che quel segno prodigioso fosse da interpretare come un presagio sinistro?
       Lo smarrimento che ne seguì durò lo spazio di un istante: ma no, lui non era il tipo di persona da dare corpo a simili superstizioni. E poi non poteva lasciarsi distogliere dalla propria vendetta.
       Quella vendetta che, covata per quasi due anni, aveva avuto finalmente inizio.