Presentazione

Questo spazio, amici lettori, è dedicato a voi.


Nato inizialmente per presentare al pubblico il mio primo romanzo, La signora del borgo
, il blog ha registrato subito le prime recensioni dei lettori e si è arricchito successivamente di molti altri argomenti che non erano soltanto quelli relativi ai temi trattati nel romanzo. Col trascorrere del tempo il blog si è caratterizzato sempre più come uno spazio multitematico, riempito soprattutto dai tantissimi commenti dei frequantatori, alcuni dei quali veri e propri fedelissimi, presenti sin dalla nascita del blog e tutt'ora attivi.

La pubblicazione del secondo romanzo, La fucina del diavolo, anch'esso edito per i tipi di Bastogi, insieme con le immancabili recensioni, ha ulteriormente alimentato i temi di discussione, accentuando il carattere del blog di volersi presentarsi come spazio aperto ma anche con uno stile proprio. Uno stile che lo ha contraddistinto sin dall'inizio e che, per certi versi, lo ha reso unico fra i tanti spazi interattivi presenti nel web: moderazione negli interventi e mantenimento del confronto sul piano delle opinioni.

Tutti coloro che vogliono far sentire la propria voce sono dunque i benvenuti e tutti devono sentirsi liberi di trattare gli argomenti che ritengono possano essere di interesse degli altri partecipanti alla vita del blog. Riservo a me stesso il ruolo di moderatore, ruolo che, per altro e fino a ora, non ha mai avuto motivo di andare oltre l'invito a tenersi nei limiti tracciati dagli stessi frequentatori.

Bene arrivati a tutti, dunque, e fatevi sentire.

______________________________________________________



Spizzicando nella quotidianità

9 Settembre 2011 - Pensiero del giorno

La vita è come un aquilone, legato a un filo tenuto dalla mano infantile del fato.


17 febbraio 2012

Il pensiero va a Giordano Bruno, arso in Campo dei Fiori. Da allora si sono spente le fiamme del rogo, ma non quella della libera investigazione sulla natura dell'universo e dell'uomo.


14 marzo 2012

All'essere umano non è dato scegliere se essere o no intelligente, in compenso gli è dato scegliere se comportarsi da stupido.


7 Aprile 2012

Agli amici del blog i miei auguri per un rinnovamento radicale del loro Essere e che questa luna piena di Primavera faccia risorgere in loro, risplendente di nuova luce, la gioia per la Vita nel e per il Bene.

Le interviste a Ennio Valtergano

La Signora del borgo è stata ospite di Container, il programma culturale di Radiogoccioline, la radio web a diffusione globale.

Per riascoltare l'intervista trasmessa da Radiogoccioline clicca qui


Servizio TV sulla presentazione di Reggio Calabria del 28.12.2010

Per gli amici che lo desiderino, è possibile guardare il servizio sulla presentazione del 28.12.2010 a Reggio Calabria.

Il servizio, completo di intervista, è stato trasmesso da ReggioTV nel corso del Telegiornale del 29-12-2010 ore 14.

Per guardare il servizio, entrare nella Home Page di RTV e cercare, dopo aver cliccato nel riquadro "Guarda il telegiornale", il tg del 29-12-2010 ore 14. Servizio TV sulla presentazione di Reggio Calabria del 28.12.2010

Leggi l'intervista all'autore e la recensione al romanzo pubblicate l'8 marzo 2011 sulla rivista on-line Mondo Rosa Shokking , a cura di Carlotta Pistone

http://www.mondorosashokking.com/Morsi-Dal-Talento/Intervista-a-Ennio-Valtergano/


http://www.mondorosashokking.com/Dalla-Libreria-Rosa-Shokking/La-Signora-del-borgo-di-Ennio-Valtergano/


Una nuova intervista è stata pubblicata al link sottostante

http://www.ilpiacerediscrivere.it/intervista-ad-ennio-valtergano/



venerdì 23 dicembre 2011

AUGURI!

Agli amici tutti e ai sostenitori del blog l'augurio più caro, mio e della mia famiglia, di trascorrere in serenità le Festività che si stanno affacciando alle nostre case. Grazie a tutti per il sostegno che avete dato al blog e all'ospite e grazie per la vostra partecipazione, sempre attenta e sempre attesa.

sabato 5 novembre 2011

Uomini e Istituzioni

In questo uggioso pomeriggio di pioggia insistente, saltellando qua e là tra il tanto materiale depositato sul mio pc, mi sono ritrovato a ripercorrere i commenti che alimentarono e vivacizzarono il dialogo del blog già al suo debutto in rete. L’attenzione si è soffermata su un commento piuttosto pepato, risalente a due anni fa, e in particolare su una considerazione che ha poi dato spunto alle riflessioni che mi piacerebbe condividere con gli amici che seguono le mie avventure letterarie – e non solo con loro.
La considerazione è la seguente:

“…ma voglio far notare al titolare come ai frequentatori di questo blog […] che i tanti meriti della Chiesa sorpassano - e di molto - gli errori umani compiuti dai suoi appartenenti nel corso della storia.”

Premetto subito che non intendo entrare nel merito dell’osservazione, anche perché sono convinto che sul piano dell’analisi storica abbia assai poco senso verificare che il bilancio in questione si chiuda con una voce preceduta dal segno + invece che dal segno –. Allo storico che voglia studiare con atteggiamento scientifico, con l’intento di analizzare per comprendere e non per giudicare, devono interessare i fatti, le cause che li hanno prodotti, le loro dinamiche e le conseguenze indotte. Dunque, a un simile approccio mal si addicono i giudizi e gli eventuali pregiudizi, positivi o negativi che siano. Ovviamente, trattandosi di fatti attinenti alla storia dell’umanità, concorderete con me che questi stessi fatti vadano ricondotti ai comportamenti umani e alle idee che ne sono state matrice.
Ora, nella frase sopra riportata, sono stato catturato, più che dalla considerazione espressa, da una questione di metodo, per la quale si sarebbe portati a separare nettamente l’istituzione (nella fattispecie la Chiesa) dai propri appartenenti.
Questo tipo di atteggiamento non è sporadico e ricorre ogni qualvolta ci si trova di fronte a qualcosa che non si riesce a metabolizzare, tanto sul piano storico quanto su quello ideologico. In questi casi, la conclusione è sempre la stessa: gli errori sono umani, mentre i meriti sono dell’istituzione che diventa così una sorta di identità avulsa dagli uomini, dalle loro miserie (purtroppo frequenti) e dalle loro grandezze (purtroppo rare). I sociologi direbbero, con una brutta espressione, che si tende a “reificare”, cioè a rendere “cosa” (res) concreta ciò che altrimenti resterebbe astratto e semmai ideale. Non sarebbe più semplice e metodologicamente corretto attribuire invece agli esseri umani tanto gli errori quanto i meriti?
Una istituzione, di qualunque istituzione si tratti, ha in generale un fondamento ideale, quasi sempre trasfuso in essa dal suo o dai suoi fondatori ma poi, nel corso della propria vita, si veste di storia reale, fatta dalle azioni, dalle prese di posizione e spesso dalle responsabilità, contingenti e storiche, di coloro che la attraversano nel tempo. Perciò diventa ingiustificato, oltre che improduttivo, il tentativo di separare l’una dagli altri e viceversa. Le istituzioni non agiscono mai da sole ma sempre attraverso gli uomini che se ne fanno portavoce, sia nel dar luogo ad atti meritori, sia nel perpetrare le più scellerate nefandezze.
Nel caso della Chiesa, citato dalla nostra commentatrice, il tentativo di separare il fondamento ideale dal processo di storicizzazione, quando non è compiuto con intenti mistificatori, trova la sua origine nella visione mistica che vuole l’istituzione come emanazione diretta del volere divino (solo di sfuggita vorrei far notare che di tale volere si sono sempre fatti interpreti e tramiti degli esseri umani, con tutto il loro corredo di vizi e virtù, a seconda dei casi).
A mio modesto avviso, questo modo di vedere, che non esiterei a definire schizoide, trova il suo corrispondente nella scissione operata a suo tempo tra la dimensione umana e la supposta dimensione ultraterrena, soggette rispettivamente all’azione destabilizzante del demonio e a quella imperscrutabile dell’Onnipotente. E così, fra i due principi contrapposti, l’uno personificante il Bene assoluto e l’altro il Male, anch’esso assoluto, l’essere umano si trovò collocato nel bel mezzo dell’eterna dialettica, col proprio libero arbitrio, ma quest’ultimo molto relativo. Relativo ai tempi, alla morale, alla ragion di stato e così via.
Purtroppo, pare proprio che l’abitudine a separare le istituzioni dagli esseri umani non sia stata abbandonata. Lo vediamo ancora oggi in molti degli esempi che cadono quotidianamente sotto i nostri occhi: gli errori sono originati da schegge deviate, ovvero da indegni e corrotti rappresentanti di consessi che altrimenti – e talvolta per definizione – sarebbero avulsi da ogni umana debolezza.
Per indole, non sono portato a cercare altrove, se non nella propria natura e nella propria storia, il seme di ogni aberrazione come di ogni slancio nobile. Forse è anche per questo che i personaggi dei miei romanzi sono in primo piano, mentre le istituzioni fanno appena da sfondo. Ed è anche per questo che non possono fuggire dalla responsabilità conseguente alle scelte che compiono.
Sono esseri umani e non paraventi di artefatti ideologici.

mercoledì 7 settembre 2011

Il cinema italiano d'autore ritorna per la penna di Valtergano

Per gli amici del blog, riporto la recensione sottostante, scovata sul sito http://www.ciao.it/

La fucina del diavolo" di Ennio Valtergano. Avvincente quanto una giornata a Gardaland e impeccabilmente storico quanto un libro di Umberto Eco. C'è l'amore e il giallo alla tenente Colombo, c'è l'erotismo mai volgare e l'abilità cinematografica dei film di Charlie Chaplin che restituisce spaccati di quotidiano ancora attuali. Presi dall'incalzare di un'avventura costruita ancora con la tecnica del contrappunto, come ne "La Signora del borgo", si corre il rischio di non notare la fluidità narrativa e la vivacità di ambienti e paesaggi realisticamente restituiti. Le emozioni e i sentimenti sono degni della miglior recitazione teatrale, con un verismo che meriterebbe di sostare sulla pagina, resistendo all'impulso prorompente di sapere come andrà a finire... Giselle si è fatta donna, ma guarda oltre l'amore di un uomo. Adinolfi pare costruito con l'acciaio dei suoi occhi grigi, ma in fondo si comporta come il soldato di una Legge sovrumana. L'efferatezza di chi ha detenuto e perso il potere tocca punte che nulla invidiano alla cronaca più nera. Il fulgore della speranza e della tenacia, che spesso appaiono inutili e perdenti, è coperto da un velo degno della nebbia londinese... Ma siamo fra Bologna, Forlì e il Montefeltro, in un XVI secolo appena embrionale cullato da scienza e religione e proteso alla ricerca dell'uomo.

Dopo l'affresco del primo libro, questo quadro vivente dell'Italia-che-fu merita le ore che Valtergano ci regala e, sicuramente, un posto in biblioteca.

martedì 30 agosto 2011

A proposito di notorietà

Rispondo con questo post a chi, con molta franchezza, mi fa osservare che sono poco noto e che non faccio abbastanza per esserlo di più.

Premetto che sono dell’idea che, in questo mondo, di gente pronta a farsi sentire ve ne sia già troppa e davvero non sento il bisogno di aggiungere la mia alle voci urlanti nel bailamme dell'esibizionismo sfrenato. Neppure tendo a disperarmi, come qualche amico del blog appare propenso a credere, ma prendo atto dello stato di cose attuali. Come si può notare - e questo blog ne è un esempio - ricorro anch'io ai mezzi offerti dalle moderne tecnologie solo che, in luogo di utilizzarli come megafono per amplificare la mia sola voce, cerco di impiegarli in una maniera che a me pare più utile, ossia circoscrivendo attraverso questi stessi mezzi degli spazi di confronto, di dialogo e di libero scambio di opinioni. D'altra parte, anche la mia partecipazione a qualcuno dei social network oggi imperanti nel web risponde al medesimo criterio e, a ben vedere, i miei stessi romanzi si pongono e si propongono come stimolo alla riflessione del lettore più che come prodotti destinati ad essere consumati nel volgere di qualche ora per essere gettati subito dopo.
Mi rendo perfettamente conto di quanto oggi valga l'equivalenza notorietà = vendita sicura = danaro, la quale equivalenza ha indubbiamente una sua validità, se non fosse che alla base della stessa vi è una domanda cruciale: quanto occorre spendere del tempo della propria vita – e non solo di quello - per raggiungere il livello di notorietà adeguato all'innesco efficace degli altri due fattori restanti? Sempre che sia poi questo l'obiettivo vero dell'intera faccenda.
Intendiamoci, non voglio apparire né scrivere come "un figo" e mi piace essere altrettanto franco con gli amici del blog. Comincio perciò dall’età.
Riguardo a questa, non sono convinto che la stessa rappresenti un elemento condizionante in assoluto: ho superato da poco i sessanta ma resto fermo nell'ostinazione che il cervello risponda a meccanismi diversi rispetto al resto dell'organismo biologico. E neppure penso che a influenzare il modo di scrivere sia il tipo di studi fatti, i quali, per altro, si estendono su un ventaglio piuttosto ampio che va da quelli tecnico-scientifici a quelli umanistici (non mi si fraintenda, la relativa ampiezza del ventaglio dipende unicamente dalla quantità di tempo vissuto: ci deve pur essere qualche vantaggio all’età che avanza!). Semmai, bisogna dire che spesso il modo di scrivere risponde a scelte volute, alla cui base sta l'obiettivo del quale si parlava prima. Inutile negarlo, ma vi è chi scrive con l’intento preciso di raggiungere il bacino più largo possibile in modo da vendere il maggior numero di copie possibile. Ora, allargare il bacino di utenza significa necessariamente avere come riferimento un target culturale che si diversifica in modo proporzionale all’estensione del bacino dei lettori e a questo corrispondono spesso gusti e pretese che male incontrano rigore e ricchezza espressiva. Accade allora che per incontrare i gusti dei più si tende talvolta a sacrificare qualcosa in nome di una semplificazione necessaria e in linea con le tendenze di mercato. In altri termini, si scrive quello che si pensa si venda meglio.
Io per parte mia, preferisco scrivere come so scrivere e come ritengo che valga la pena di scrivere, in primo luogo per il rispetto che devo al tempo della mia vita e soprattutto per quello che devo al tempo di chi mi legge. Del resto, anche questa posizione, che potrebbe forse apparire un tantino rigida, risponde a una considerazione di fondo: siamo tutti destinati a morire e non credo che giungere al momento estremo con un po’ di notorietà in più o in meno, o con qualche centinaia o migliaia di euro in più o in meno faccia la differenza. Vorrei credere, nell’ingenuità dei miei appena sessanta anni (e qualcuno di più), che il modo in cui si spende la propria vita, e perciò il significato che le si attribuisce, quello sì che fa la differenza vera.

O no?

martedì 7 giugno 2011

La fucina del diavolo - Il testo della Quarta di copertina

26 gennaio 1496. Nel cielo terso del Montefeltro si assiste a un fenomeno prodigioso: in pieno giorno la volta celeste è solcata da misteriose scie luminose precedute da una dozzina di boati, in­spiegabili data l’assenza di nuvole. Qualche tempo dopo la gente della Valdinoce raccoglie alcuni sassi dall’aspetto insolito che, nell’immaginazione popolare, paiono scaturiti dalla fucina del diavolo. Su di essi si concentra l’attenzione di un manipolo di studiosi aderenti a un’organizzazione clandestina facente capo a Cornelio Adinolfi e alla quale non è estranea Eliside, enigmatica figura di donna nota ai più come la Signora del borgo. L’idea è che le misteriose pietre cadute dal cielo possano gettare nuova luce sulla natura dell’universo, una luce che spazzerebbe vie le vecchie idee ancorate al sistema di pensiero aristotelico e incardi­nate nella concezione biblica del mondo.
Nel tentativo di recuperare i reperti di Valdinoce si inserisce un bieco disegno di vendetta e i misteriosi sassi diventano cataliz­zatori dei sentimenti più disparati, dal tradimento al senso dell’onore, dalla turpitudine all’abnegazione.
La vicenda è il seguito naturale di quella narrata in La Signora del borgo e anche qui, come già nel primo romanzo di Ennio Valtergano, il lettore resterà preso e affascinato dalla straordinaria figura di Giselle e dalla sua dimensione di donna senza tempo.

martedì 15 marzo 2011

LA FUCINA DEL DIAVOLO - Prologo

       La sagoma tozza e tondeggiante si disegnò per un breve momento sul selciato sudicio e maleodorante del vicolo: la luna piena, luminosissima nel cielo terso di gennaio, ne aveva proiettata l’ombra staccandola dall’oscurità informe e protettiva del muro. L’uomo maledisse in cuor suo l’astro notturno e si ritrasse rapido come un ratto, appiattendosi quanto più poteva a ridosso della parete tirata su con blocchi di pietra arenaria a mala pena smussati. C’era mancato poco che la sua presenza non fosse notata dalla ronda, ma per fortuna gli armigeri tirarono innanzi senza accorgersi di nulla. Immobile, i nervi tesi, li udì proseguire con passo malamente cadenzato e reso incerto dai boccali di vino tracannati appena prima di cominciare il giro di ispezione. Ci sarebbe voluto ben altro, pensò lui, per difendersi dai rigori delle notti di gennaio... Con l’eco delle voci e delle risate sguaiate si allontanò anche il tanfo dolciastro diffuso dagli aliti avvinazzati. Ancora più guardinga e circospetta, la figura avvolta nel mantello logoro e scolorito valutò la distanza da coprire fino alla meta: il piccolo edificio fatiscente prospiciente le mura perimetrali di settentrione. Quello adiacente al macello.
       L’uomo era riuscito a penetrare all’interno della cittadella poco prima della chiusura delle porte, allo scoccare della dodicesima ora. Vestito come un mendicante, il cranio pelato nascosto sotto l’ampio cappuccio, era passato sotto lo sguardo degli uomini di guardia al seguito di un mercante di pellami e cuoio e del carro stracolmo di mercanzie. Per maggior precauzione aveva finto di claudicare vistosamente, procedendo con andatura malsicura e appoggiandosi con entrambe le mani al bastone bitorzoluto, costellato di nodi per quasi l’intera lunghezza. Il mercante gli aveva assicurato la propria complicità in cambio di due fiorini d’argento: nel caso ci fossero state noie da parte delle guardie, avrebbe detto che il povero disgraziato al seguito era un aiutante occasionale cui ricorreva quando aveva da trasferire un carico particolarmente ingombrante. Ma anche in quel caso la sorte non si era mostrata avversa: di là di qualche sguardo sprezzante e di un paio di ghigni beffardi, nessuno degli armigeri aveva mostrato interesse più di tanto e, soprattutto, nessuno lo aveva riconosciuto. Superato quel primo ostacolo, aveva atteso la complicità delle ombre della sera, evitando accuratamente i luoghi frequentati. Non aveva dovuto aspettare troppo: d’inverno faceva buio presto.
       L’uomo stette in ascolto ancora per un istante. Rassicurato dal silenzio, si guardò un’ultima volta intorno, senza dimenticare le finestre che davano sul vicolo: le imposte erano tutte serrate e dall’interno non filtrava neppure un barlume di luce. Si fece coraggio e si lanciò di corsa per il budello tenendosi radente al muro. Un attimo dopo la sagoma era scomparsa oltre la svolta, inghiottita dalle tenebre della notte.
      
       I colpi alla porta la sorpresero mentre si accingeva a infilarsi sotto la pesante coltre di lana grezza. Non aveva ancora spento la lampada. Si batté un colpo sulle natiche voluminose e flaccide biascicando oscenità irripetibili all’indirizzo dell’intruso: chi mai poteva essere in un’ora tanto insolita? Che lei ricordasse, non aspettava nessuno. Men che mai immaginava che qualcuno potesse avere bisogno di lei. Diffidenza e timore le suggerirono di stare in guardia. Afferrò la lampada e si diresse verso la porta che dava sulla rampa di accesso allo scantinato. Appoggiò l’orecchio in corrispondenza della fessura tra porta e battente.
       – Chi è? – chiese con voce roca e sgraziata. – Che diavolo volete a quest’ora?
       – Apri – fu la risposta dall’altra parte dell’uscio. – Ho bisogno di parlarti… Non te ne pentirai.
       La donna riconobbe la voce all’istante. No, non poteva essere che fosse proprio lui, si disse incredula. Ci mise un momento per riprendersi dalla sorpresa e, tenendo la lampada sollevata al di sopra del capo, aprì quel tanto da poter sbirciare di traverso.
       – Voi qui? – sussurrò sgranando gli occhi. – Ma non dovevate…
       – Sta’ zitta e lasciami entrare – ribatté l'altro. – Per te ci saranno queste, se avrai la bontà di ascoltarmi.
       Mentre parlava a voce bassa, infilò la mano nella striscia di spazio tra lo stipite e la porta, scuotendo il minuscolo sacchetto rigonfio: ne sortì un tintinnio promettente. L’espressione di avidità sul volto della donna accompagnò il cigolio della porta dischiusa con circospezione, mentre gli occhi esploravano la sommità della scala alla luce fioca e incerta del lucignolo alimentato con sego. Rassicurata, richiuse l’uscio alle spalle dell’uomo che nel frattempo si era intrufolato nel locale squallido e freddo. Il visitatore inatteso fece scivolare via il cappuccio dalla testa e per un momento squadrò con aria sorniona la donna dall’aspetto di megera.
       – Di’ la verità: non ti aspettavi di vedermi, vecchia strega… non è così?
       Lei era senza parole. Reggendo la lampada a mezz’altezza fissò la figura che aveva di fronte con stupore misto a preoccupazione: no, decisamente era l’ultima persona che avrebbe immaginato di vedere.
L’altro non attese risposta. Si avvicinò a quel che restava del tavolo tarlato e vi gettò sopra il sacchetto aperto. Parte del contenuto rotolò per la superficie irregolare, diffondendo nella penombra il suono argentino prodotto dalle monete mentre si urtarvano l’un l’altra prima di arrestarsi del tutto.
       – Questi sono per te. Ma stavolta dovrai servirmi bene. Contali. Sono trenta fiorini d’argento.
       Lo sguardo della donna rimase sospettoso ancora per un istante. Poi l’avidità prese il sopravvento e la vista dell’inopinata dovizia le fece abbandonare ogni diffidenza. Si catapultò verso il tavolo avvicinando al denaro la luce tremolante della lampada.
       – Qualunque cosa dovrò fare, questa volta sarà fatta bene… potete contarci.
       Si piegò in avanti di scatto: le dita afferrarono le monete una dopo l’altra, in rapida successione.
       – Sì, ci conto – ribatté l’uomo alle sue spalle.
       Si mosse veloce come un gatto, a dispetto della corporatura goffa e abbondante. La mano sinistra si posò sulla bocca della donna e, con uno scatto repentino, l’uomo tirò a sé la testa della malcapitata impedendole di urlare. Per un attimo, avvertendo il corpo di lui a stretto contatto con la parte bassa della schiena, la donna pensò a un impeto improvviso di lussuria: che diavolo, si disse, avrebbe potuto chiederglielo in altro modo! Lei sarebbe stata ben contenta di assecondarne le voglie se solo…
       La lama, fredda, inesorabile, le si conficcò all’altezza del cuore. Il gemito soffocato inumidì la mano del carnefice che non abbandonò la presa fino a quando il corpo non si afflosciò senza vita.
       Con la freddezza del sicario incallito, il misterioso individuo ripulì il pugnale e la mano grondanti di sangue strofinandoli più volte sulla veste della vittima. Raccolse dal tavolo le monete, le ripose nel sacchetto e uscì, avendo cura di richiudere la porta alle proprie spalle. Si infilò per la rampa e, una volta all’aperto, si guardò intorno: nessuno. Il puzzo delle frattaglie in putrefazione proveniente dall’interno del macello lo afferrò alle narici. L’uomo si coprì bocca e naso con un lembo del mantello e si portò dalla parte opposta del vicolo. Bene, rifletté tra sé e sé, il cadavere della donna non sarebbe stato scoperto tanto presto: la temperatura gelida del tugurio ne avrebbe rallentato la decomposizione e, in ogni caso, il fetore proveniente dallo scantinato si sarebbe confuso per qualche tempo con quello che ristagnava ogni giorno nei dintorni. Dunque, non vi era motivo di agire con precipitazione e rischiare di commettere qualche imprudenza per la fretta: avrebbe avuto il tempo necessario per lasciare la cittadella in tutta tranquillità.
       La luna illuminò per un istante la faccia dell’uomo: l’espressione, feroce e soddisfatta, era tutta condensata nella piega del ghigno sinistro stampato sul volto.
      
       Il paesaggio attorno a lui gli era del tutto sconosciuto. Per evitare di correre rischi e fare incontri indesiderati aveva preferito tenersi lontano dalle vie di comunicazione frequentate normalmente dai viandanti e si era addentrato nelle contrade del Montefeltro percorrendo sentieri poco battuti. Si guardò in giro alla ricerca di qualche riferimento utile all’orientamento: era trascorso ormai un bel pezzo da che aveva preso a costeggiare il torrente Voltre in direzione di Forlì e dunque doveva essersi spinto per un buon tratto nella Valdinoce. Arrestò il cavallo per poter osservare meglio i dintorni, mentre lo sbruffo dell’animale si condensava in una nuvoletta grigiastra. Nonostante il mezzogiorno non fosse trascorso da molto, considerò con disappunto il cavaliere, faceva decisamente freddo e l’umidità del luogo gli stava penetrando sin dentro le ossa. L’uomo si avvolse ancor più nel mantello e diede sfogo al proprio malumore mormorando un’imprecazione a denti stretti.
       Aveva lasciato la cittadella al tramonto di tre giorni prima. Uscirne era stato meno difficile di quanto temesse: mescolatosi al nugolo di mendicanti costretti ad abbandonare il perimetro delle mura prima che fossero chiuse le porte, aveva potuto oltrepassare il corpo di guardia senza difficoltà, confuso al manipolo sudicio e lamentoso dei derelitti che, come d’abitudine, si riversava ogni mattina nelle vie della cittadella per poi abbandonarle, al termine della questua, all’approssimarsi della dodicesima ora. Liberatosi degli stracci usati per il travestimento, a sera inoltrata e dopo una scarpinata di circa tre ore, aveva raggiunto la locanda presso la quale aveva lasciato in custodia la propria cavalcatura. Con questa, ai primi chiarori del mattino successivo, aveva ripreso la strada alla volta di Bologna.
       Al comando del proprio cavaliere, il baio riprese l’andatura regolare e la tenne per un buon tratto sino a quando, d’improvviso, si impuntò e per poco non fece perdere l’equilibrio a chi gli stava in groppa. Lui, assorto nei propri pensieri, non si aspettava una manovra tanto brusca e riuscì a stento a restare in sella. Insensibile ai colpi di sperone, il cavallo non volle saperne di rimettersi in movimento: le zampe anteriori irrigidite, se ne stava immobile come se avvertisse un pericolo imminente.
       Il comportamento insolito della bestia fu seguito quasi subito da un fatto ancora più insolito: una serie di boati squarciò l’aria in rapida successione. Si sarebbero detti dei tuoni, se non fosse stato che il cielo era completamente terso. Istintivamente l’uomo alzò il capo per guardare in alto e proprio in quel momento la volta celeste parve attraversata da bolidi di un bagliore accecante nonostante fosse pieno giorno. Il cavaliere rimase sbigottito, intimorito per la stranezza dell’evento. Che non si fosse trattato di uno scherzo dell’immaginazione, tradita dalla stanchezza e dalla tensione legata all’omicidio commesso tre notti avanti, lo testimoniavano le misteriose scie biancastre ancora visibili sopra la propria testa.
       Fu assalito da un senso di cupa inquietudine e restò immobile, incerto sul da farsi. Ben presto, l’inquietudine prese la forma di una domanda densa di angoscia: che quel segno prodigioso fosse da interpretare come un presagio sinistro?
       Lo smarrimento che ne seguì durò lo spazio di un istante: ma no, lui non era il tipo di persona da dare corpo a simili superstizioni. E poi non poteva lasciarsi distogliere dalla propria vendetta.
       Quella vendetta che, covata per quasi due anni, aveva avuto finalmente inizio.

sabato 29 gennaio 2011

Una innocente iniziativa promozionale per gli amici del blog

Nel ringraziare gli amici del blog per la simpatia mostrata sino a oggi nei confronti di questo modesto spazio virtuale, mi piace comunicarvi, sempre che non l'abbia già fatto, che è andata a compimento la revisione del secondo romanzo, ove si racconta il seguito delle vicende narrate nel primo. Il titolo lo lascio ancora per un po' avvolto nel mistero; posso solo dire che richiama un tantino gli interessi più volte manifestati dall'amico Milascolano e si riferisce a un evento accaduto nel Montefeltro il 26 gennaio del 1496.
A voi il compito di individuare di quale evento si tratti e da questo immaginare il possibile titolo. I primi dieci che dovessero "azzeccare" il titolo esatto riceveranno una copia del romanzo una volta pubblicato.
L'iniziativa avrà termine allorché almeno dieci visitatori avranno indicato il titolo giusto, che solo a quel punto verrà comunicato a tutti.
Per la determinazione dei primi dieci farà fede l'ordine di pubblicazione (giorno, ora e minuti) del titolo nel blog.

Buona fortuna!

lunedì 10 gennaio 2011

Articolo su "Calabria ora" del 31 dicembre 2010

Ancora una recensione per gli amici del blog. L'articolo è del 31 dicembre 2010, pubblicato su "Calabria ora" e a firma del giornalista Marco Comandè.

domenica 9 gennaio 2011

Articolo di Roberta Pino su "Il Quotidiano" di Reggio Calabria del 29.12.2010

Riporto, per gli amici del blog, l'articolo della giornalista Roberta Pino, de "Il Quotidiano" di Reggio Calabria, che ha fatto seguito all'intervista all'autore avvenuta nel corso della presentazione del romanzo presso la Biblioteca "Pietro De Nava" del 28 dicembre scorso. L'evento è stato ospitato dall'Associazione Culturale Anassilaos. Moderatore è stato il Presidente Dott. Stefano Iorfida; relatrice e presentatrice del volume la Prof. Francesca Neri.

Recensione su "il Lucano magazine" N°72 dicembre 2010

Cliccare sull'immagine per ingrandire; per ingrandire ulteriormente cliccare di nuovo