Presentazione

Questo spazio, amici lettori, è dedicato a voi.


Nato inizialmente per presentare al pubblico il mio primo romanzo, La signora del borgo
, il blog ha registrato subito le prime recensioni dei lettori e si è arricchito successivamente di molti altri argomenti che non erano soltanto quelli relativi ai temi trattati nel romanzo. Col trascorrere del tempo il blog si è caratterizzato sempre più come uno spazio multitematico, riempito soprattutto dai tantissimi commenti dei frequantatori, alcuni dei quali veri e propri fedelissimi, presenti sin dalla nascita del blog e tutt'ora attivi.

La pubblicazione del secondo romanzo, La fucina del diavolo, anch'esso edito per i tipi di Bastogi, insieme con le immancabili recensioni, ha ulteriormente alimentato i temi di discussione, accentuando il carattere del blog di volersi presentarsi come spazio aperto ma anche con uno stile proprio. Uno stile che lo ha contraddistinto sin dall'inizio e che, per certi versi, lo ha reso unico fra i tanti spazi interattivi presenti nel web: moderazione negli interventi e mantenimento del confronto sul piano delle opinioni.

Tutti coloro che vogliono far sentire la propria voce sono dunque i benvenuti e tutti devono sentirsi liberi di trattare gli argomenti che ritengono possano essere di interesse degli altri partecipanti alla vita del blog. Riservo a me stesso il ruolo di moderatore, ruolo che, per altro e fino a ora, non ha mai avuto motivo di andare oltre l'invito a tenersi nei limiti tracciati dagli stessi frequentatori.

Bene arrivati a tutti, dunque, e fatevi sentire.

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Spizzicando nella quotidianità

9 Settembre 2011 - Pensiero del giorno

La vita è come un aquilone, legato a un filo tenuto dalla mano infantile del fato.


17 febbraio 2012

Il pensiero va a Giordano Bruno, arso in Campo dei Fiori. Da allora si sono spente le fiamme del rogo, ma non quella della libera investigazione sulla natura dell'universo e dell'uomo.


14 marzo 2012

All'essere umano non è dato scegliere se essere o no intelligente, in compenso gli è dato scegliere se comportarsi da stupido.


7 Aprile 2012

Agli amici del blog i miei auguri per un rinnovamento radicale del loro Essere e che questa luna piena di Primavera faccia risorgere in loro, risplendente di nuova luce, la gioia per la Vita nel e per il Bene.

Le interviste a Ennio Valtergano

La Signora del borgo è stata ospite di Container, il programma culturale di Radiogoccioline, la radio web a diffusione globale.

Per riascoltare l'intervista trasmessa da Radiogoccioline clicca qui


Servizio TV sulla presentazione di Reggio Calabria del 28.12.2010

Per gli amici che lo desiderino, è possibile guardare il servizio sulla presentazione del 28.12.2010 a Reggio Calabria.

Il servizio, completo di intervista, è stato trasmesso da ReggioTV nel corso del Telegiornale del 29-12-2010 ore 14.

Per guardare il servizio, entrare nella Home Page di RTV e cercare, dopo aver cliccato nel riquadro "Guarda il telegiornale", il tg del 29-12-2010 ore 14. Servizio TV sulla presentazione di Reggio Calabria del 28.12.2010

Leggi l'intervista all'autore e la recensione al romanzo pubblicate l'8 marzo 2011 sulla rivista on-line Mondo Rosa Shokking , a cura di Carlotta Pistone

http://www.mondorosashokking.com/Morsi-Dal-Talento/Intervista-a-Ennio-Valtergano/


http://www.mondorosashokking.com/Dalla-Libreria-Rosa-Shokking/La-Signora-del-borgo-di-Ennio-Valtergano/


Una nuova intervista è stata pubblicata al link sottostante

http://www.ilpiacerediscrivere.it/intervista-ad-ennio-valtergano/



martedì 22 dicembre 2009

BUONE FESTE

A tutti gli amici del blog; agli amici che lo frequentano con assiduità e lo ravvivano col trasporto genuino dei loro commenti puntuali; agli amici che lo frequentano con assiduità e che solo di tanto in tanto fanno sentire la loro voce; agli amici che lo frequentano con assiduità e che preferiscono osservare e riflettere in silenzio; agli amici sporadici che vengono, guardano e vanno; agli amici più giovani ma non meno graditi nelle stanze del blog; a tutti voi ospiti sconosciuti ma familiari di questa dimora virtuale, ma non per questo - spero - meno calda e accogliente, l'augurio di serenità e letizia.
Un altro anno, dell'eterno presente, si avvia a conclusione e con esso un pezzo di vita vissuta entra nella dimensione dei ricordi e dell'esperienza. Dunque, entra in un modo diverso di far parte del presente e di dare significato al tempo, l'unica vera, preziosa e incommensurabile risorsa dell'esistenza.
Per tutti voi, anzi per tutti noi, il tempo sia propizio di BENE.

domenica 13 dicembre 2009

Ci sono sempre

Cari amici, eccomi a voi, anche se non ancora col post annunciato sulle valutazioni di questo primo periodo di attività del blog. Assorbito da altre impellenze, ancora non ho avuto modo di articolare in maniera organica le considerazioni che mi si sono affacciate alla mente nel frattempo. Fra le impellenze accennate, devo dire poche delle quali attinenti alla promozione del romanzo appena pubblicato, ve n'è una senza dubbio molto stimolante, specie per chi, come me, è relegato dall'anagrafe nella categoria dei non più giovani. Ebbene, mi è stato chiesto di scrivere il copione di una rappresentazione teatrale per giovani e giovanissimi interpreti. Ho accettato l'incarico intravedendovi l'opportunità di avvicinarmi ancor più a una dimensione che lo scorrere della vita rende sempre più divergente dalla traiettoria di chi ormai conta gli anni che ha dietro assai più numerosi di quelli che intravede davanti e soltanto in una prospettiva di probabilità statistica.
Vi confesso che sono entusiasta di questa nuova esperienza, alla quale guardo con gli occhi meravigliati e curiosi di quella strana entità che dentro di noi sembra non avere età. Vedremo.
Pubblico questo post nella sezione giovani per ovvia pertinenza, ma non intentendo tuttavia precludere gli interventi di amici dei quali avverto la mancanza e che forse si sentono più a loro agio in una qualunque altra sezione di questo blog.
Attendo, con la simpatia e l'interesse di sempre, di leggere le vostre stimolanti riflessioni.
Una preghiera per tutti: laddove aveste cercato in libreria una copia de La Signora del borgo e aveste incontrato difficoltà anche seguendo i suggerimenti da me dati giorni addietro, non esitate a comunicarmelo sul blog stesso.
Un saluto a tutti.
Ennio

domenica 6 dicembre 2009

Ai giovani amici del blog

Dalle frecce intinte nel sarcasmo, scagliate dall'arco del nostro navigatore sotto vento che si firma Ulisse, sono trascorsi quattro giorni e devo prendere atto che, stando all'assenza di interventi, la risposta al blando tentativo da me fatto di verificare quanti di voi frequentassero ancora lo spazio di questo blog ha il valore di verdetto definitivo. Perciò, devo pensare che voi giovani, sempre che siate mai stati numerosi a visitare queste pagine (purtroppo non ho modo di verificare quante visite registra la sezione a voi dedicata), fatte salve rare eccezioni, abbiate abbandonato la zattera al proprio destino.
Come ho anticipato in uno degli ultimi interventi, sto cercando di valutare due mesi e più di attività del blog e diversi elementi già offrono spunti interessanti. Per questo e per avere un'idea più chiara dell'andamento complessivo del blog, chiedo a voi, giovani amici che ancora siete "in ascolto", anche se venite a curiosare solo di tanto in tanto, di fare un piccolo gesto e darmi una mano a comprendere: segnalate la vostra presenza semplicemente con un "Ci sono", oppure con un "Ciao" seguito dal nick name. Basta che lo facciate una volta soltanto e poi la cosa finirà qui. Perciò vi prego di non interpretare questa richiesta come un ulteriore tentativo di coinvolgervi.
Un saluto da Ennio

lunedì 23 novembre 2009



La copertina del romanzo

mercoledì 18 novembre 2009

Il libro tra Medioevo e Rinascimento

Ficcare il naso nella storia del libro è un po’ come smuovere la polvere del tempo: si avverte subito un che di antico e di suggestivo; un che di misterioso, evocante immagini di luoghi chiusi e silenziosi.
Oggi, nell’era di internet e delle biblioteche on-line, si sta perdendo il fascino del libro sfogliato tra le mani, la magia del contatto della pagina strofinata tra indice e pollice. Eppure, non molti secoli addietro, il libro costituiva una vera preziosità ed erano pochi quelli che potevano vantare il possesso di solo qualche decina di esemplari. I costi di un libro erano proibitivi, per via dei tempi necessari alla produzione e soprattutto per il materiale di supporto. Fino al XV secolo la pergamena era ancora il materiale preferito e la carta di stracci impiegherà qualche tempo per soppiantare la più antica – e nobile – antagonista, sebbene promettesse di ridurre i costi del 20 % almeno. Attestatosi già in Spagna nel corso del XII secolo e in Francia nel XIII, l’uso del nuovo materiale nel libro manoscritto si generalizzerà non prima del XIV secolo, ma solo in quello dopo, nel XV secolo, prenderà piede con una certa consistenza. Le ragioni della lenta diffusione del libro composto con fogli di carta sono di diversa natura. La prima è la scarsa resistenza del nuovo materiale di supporto, che rendeva il libro poco pregevole specie quando si trattava di testi importanti che sarebbero diventati oggetto di eredità. La seconda era legata prevalentemente al gusto raffinato dei pochi ricchi che potevano permettersi il lusso di collezionare oggetti così rari e pregiati e che vedevano nel libro fatto di fogli di pergamena un oggetto di distinzione, quasi un emblema attestante lo status di ‘sapiente’. Bisogna infatti considerare che gli uomini di cultura vissuti tra il Medioevo e il Rinascimento erano innanzi tutto uomini del sapere scritto e i libri rappresentavano tanto la base di tale sapere quanto il mezzo attraverso cui si trasmetteva. Purtroppo era anche un mezzo difficile e lungo da produrre e poi, come si è già detto, costoso.
Da una pelle di pecora si potevano produrre non più di due, sedici fogli, a seconda del formato. Perciò, per comporre un libro di 160 fogli (320 pagine), a seconda delle dimensioni del volume, occorreva sacrificare da 10 a 80 pecore. Inoltre, la copiatura (eseguita a mano) era molto lenta. Si calcola che un copista di professione riuscisse a copiare appena due fogli e mezzo al giorno. Quindi, in un anno, un bravo copista riusciva a produrre cinque libri da duecento fogli. Per la riproduzione di mille volumi era necessario impiegare duecento uomini a tempo pieno.
Il sistema delle peciae, introdotto a Bologna e a Parigi fin dal XIII secolo, non migliorò di molto la situazione. I libri da copiare venivano spacchettati in fascicoli (le peciae, appunto) e i fascicoli consegnati a diversi copisti. In questo modo, nel tempo necessario alla riproduzione di un solo volume se ne potevano ottenere tanti per quanti erano stati i volumi disassemblati. Tuttavia, tempi di produzione a parte, i costi restarono elevati: si è calcolato che nel 1400 il costo medio di un libro equivalesse a sette giorni di guadagno di un notaio regio. Dunque, un personaggio di elevato rango sociale poteva permettersi nel corso di venti anni di carriera l’acquisto di 200, 250 volumi al massimo. E infatti le collezioni private raramente superavano le poche decine di volumi e già in quel caso erano considerate degne di ammirazione. Una biblioteca che potesse vantare un centinaio di libri appariva addirittura stupefacente. Nel XV secolo il duca di Borgogna Filippo il Buono vantava il possesso di ben 880 volumi. Ma qui si parla di eccezioni rare. In generale, le collezioni private erano più modeste, per quanto quelle dei bibliofili incalliti fossero ugualmente importanti: Roger Benoîton, ex notaio regio divenuto canonico di Clermont, nel 1470 compila con orgoglio il catalogo ragionato dei 257 libri appartenenti alla sua collezione privata.
Il problema dei costi restò inalterato sino a quando, nella metà del 1400, non fece il suo ingresso la stampa a caratteri mobili. La sua diffusione, però, fu ugualmente lenta e limitata soprattutto alla Germania. È soltanto a partire dal 1470 che i tipografi cominciano a emigrare altrove. Del resto, i torchi erano ancora piuttosto rari. Si valuta che a quel tempo quelli fuori del territorio tedesco fossero appena cinque o sei e quelli davvero promettenti soltanto due: quello di Venezia, dove dal 1469 si era stabilito Giovanni da Spira e quello di Parigi, grazie a Ulrich Gering di Costanza che vi aveva aperto un laboratorio insieme a due compagni nei pressi della Sorbona.
A partire dagli ultimi due decenni del Quattrocento le stamperie aumentarono in tutta Europa ma non furono in grado di eliminare la copiatura a mano, che resistette fino all’inizio del XVI secolo. Anzi, quello scritto a mano conservò una netta supremazia sul libro stampato, registrando una proporzione nella composizione delle biblioteche a suo netto vantaggio ancora per qualche decennio.
Ma ormai l’avventura del libro a caratteri mobili era cominciata e la sua diffusione sarebbe diventata ben presto inarrestabile, continuando fino a oggi, all’era dell’informatica e dell’informazione multimediale.
Per quanto tempo ancora il libro stampato manterrà l’attrattiva e il fascino – se si vuole, anche il romanticismo – legato al fruscio delle pagine che scivolano fra le dita?

venerdì 13 novembre 2009

Uno spazio per i giovani

Mi rivolgo a voi, ragazze e ragazzi non ancora intaccati dalla fuliggine del tempo e dalle storture di un mondo che non sempre va come dovrebbe.
Questo spazio è dedicato a voi, perché possiate esprimere liberamente le vostre idee, sempre però salvaguardando il rispetto reciproco e quello verso le persone che vi leggono. Perciò, non sono ammesse parolacce (che tra l'altro sono inutili: certe cose si possono dire lo stesso in modo efficace); non sono ammessi insulti, ma diritto e libertà di critica, purché motivata, sono benvenuti; non sono neppure ammessi attacchi personali: le opinioni, quando opportuno, devono attaccare i fatti.
Le regole che vi chiedo di seguire sono tutte qui e non sono difficili da accettare. Gli argomenti di discussione, invece, potrete deciderli voi, tutt'alpiù lo faremo insieme.
Ditemi cosa ne pensate, commentando direttamente sul blog. Esprimete la vostra opinione sotto questo post.
Vi aspetto, allora.

martedì 3 novembre 2009

Il treno

Cari amici, vi sottopongo una riflessione serale.
Non pare anche a voi che il blog (non necessariamente questo) sia come un treno?
Mi spiego.
Immaginate per un momento di essere un viaggiatore su un treno a lunga percorrenza e voi state appunto facendo un viaggio lungo.
Alcuni dei passeggeri fanno lo stesso vostro viaggio; qualcun altro sale alla stazione dopo la vostra per coprire anch'egli una lunga tratta; molti, invece, montano sul treno a una stazione per scendere a quella successiva o a quella dopo ancora. Con quelli che, come accade per alcuni di voi, stanno facendo un viaggio lungo, si può anche instaurare una discussione articolata che va a toccare più punti. Con gli altri, quelli che scendono subito dopo o quasi, ci si scambia appena qualche battuta. Tuttavia, la maggior parte dei viaggiatori se ne sta per i fatti suoi, anche se il viaggio è lungo come il vostro. Spesso li vedete girarsi dalla vostra parte, vi guardano, ascoltano quello che state dicendo con i compagni di viaggio che vi stanno nelle immediate vicinanze ma non accennano a parlare.
Ecco, per il numero di visitatori che frequentano il blog, provo a volte la sensazione di essere su un treno: molti salgono, scambiano qualche parola, poi scendono e non si sentono più, lasciando quella strana sensazione che è propria degli incontri incompiuti: avrebbero potuto essere e non sono stati. Così mi vengono in mente i tanti che hanno compiuto un'apparizione fugace: penso, ad esempio, a Sal, a Milascolano, a Nonna Gina, a Erika, a Rosaria, a Giulia, a Yang e ai tantissimi altri che si sono avvicendati o che magari continuano ad avvicendarsi, ma in silenzio.
Allora mi stava venendo in mente di rivolgervi una domanda: non sarebbe bello se, indipendentemente dalla distanza che dobbiamo coprire insieme, provassimo a socializzare un po’ di più? Ma poi mi sono ricordato che non di rado, proprio come accade su un treno, i tentativi volti ad “attaccare bottoni” generano un senso di fastidio. Forse perché siamo ormai abituati a stare ogni giorno immersi in una folla di indifferenti e ogni timido approccio volto a stabilire un contatto viene interpretato come un tentativo indebito di violare il proprio sacrosanto diritto a starsene per i fatti propri.
O no?

mercoledì 28 ottobre 2009

Una precisazione doverosa

È opportuno, oltre che doveroso, restituire al blog la propria connotazione d’origine e il carattere col quale si era presentato al pubblico già all’esordio: un blog nato per stabilire con potenziali lettori un contatto diretto e discutere con loro, amichevolmente, dei temi correlati a un evento letterario per altro ancora in gestazione. Ma più ancora che questo, e semmai approfittando dell’opportunità offerta dall’evento stesso, vi era – e vi è tuttora – l’idea di offrire uno spazio aperto, non delimitato da confini ideologici di alcun tipo, all’interno del quale confrontarsi con l’attitudine a comunicare, ma anche e soprattutto con la disponibilità ad ascoltare. Dunque, non un’arena di scontro, e men che mai un palcoscenico sul quale rappresentare rivendicazioni apologetiche fuori programma.
D’altra parte, è comprensibile che su taluni periodi che hanno segnato anche tragicamente il percorso della nostra civiltà vi possano essere difformità di interpretazione e prese di posizione accalorate: è umano, anche se scientificamente discutibile. L’affermazione secondo la quale “la storia non è mai disgiunta dagli uomini che la fanno” è da sottoscrivere senza riserve. Così pure, aggiungo, le istituzioni, tutte le istituzioni, in ogni epoca e a qualunque settore della famiglia umana si riferiscano, siano esse religiose, politiche, sociali, non sono entità astratte – “reificate” si direbbe in sociologia – ma espressione, nel bene come nel male, nella grandezza come nella miseria umana, degli uomini che le attraversano e le attualizzano storicamente. La storia, l’antropologia culturale, la sociologia, unitamente ad altre discipline, costituiscono mezzi di indagine potenti; l’uso accorto, equilibrato e non strumentale di essi consente, tra l’altro, di mettere a punto chiavi di lettura imparziali e dunque determina, per l’osservatore che se ne voglia servire, una posizione privilegiata e caratterizzata dal necessario distacco valutativo assolutamente indispensabile quando si sia interessati a comprendere, e non a giudicare, i processi e i fatti relativi al cammino dell’uomo sul pianeta.
Le istituzioni umane – perché tutte le istituzioni sono umane – non nascono per atto creativo autonomo e spontaneo; allo stesso modo, il portato culturale che ne costituisce il patrimonio non è “preconfezionato” e pronto all’uso neppure quando trae origine da miti antecedenti. Esso si stratifica nel tempo, in virtù degli apporti successivi di coloro che rappresentano le istituzioni ai diversi livelli. Pertanto, la loro storia non può che essere la storia dei fatti da esse prodotti e i fatti, come è stato già ricordato, a loro volta non possono essere disgiunti dagli uomini. Che poi accada, talvolta o spesso (storicamente non si può fare altro che prenderne atto), che quegli stessi fatti siano riconducibili alla “bestialità egoreferente”, come pure è stato efficacemente puntualizzato, tutto ciò non deve sorprendere e soprattutto non deve indurre al ripiegamento su posizioni mistificanti o giustificative. L’essere umano non è né divino né diabolico o, se si preferisce, è l’una e l’altra cosa insieme. Personalmente sono propenso a ritenere che l’essere umano, e con esso la specie umana, sia semplicemente in itinere, dotato però del potere di esercitare scelte libere; dunque conserva insieme alla libertà anche la responsabilità dei propri atti. Responsabilità che non può essere esorcizzata scaricandola su fattori esterni, siano essi naturali o presunti divini.
Tutto questo detto, a nessuno è chiesto di condividere una posizione o un’altra: riconoscersi in questa o quella idea fa parte del percorso individuale, il quale è conseguenza della propria storia ed è strettamente omologo alla struttura individuale e alla sua natura . E già questo, di per sé, dovrebbe essere bastevole di rispetto. Allo stesso tempo, tuttavia, a nessuno è neppure chiesto di giudicare questa o quella posizione. Questo blog, che è bene non dimenticare prende spunto da una iniziativa che pretende di considerarsi culturale, vuole essere una casa di tutti, ma di tutti quelli che si riconoscono nel rispetto reciproco e nella tolleranza, che non è intesa, almeno da chi scrive, come ipocrita accondiscendenza ma come prerequisito indispensabile di apertura. Occorre forse ripeterlo: il confronto, anche se duro, non necessariamente deve degenerare nello scontro, e mai in quello personale. Il confronto sulle diversità di vedute porta all’allargamento dell’orizzonte visivo e questo è oggettivamente un arricchimento.
Chi pensa di potersi allineare a queste poche indicazioni di civile convivenza è benvenuto. Diversamente, conserva tutta la libertà di andare a bussare ad altre porte ed entrare in altre case, ove sicuramente troverà ambienti e ospiti consoni alle proprie attitudini.
Sgombrato in tal modo il terreno da equivoci presenti e futuri, il vostro Ennio vi aspetta con l’entusiasmo e l’interesse di sempre.

sabato 17 ottobre 2009

Uno spazio per il dialogo

Cari amici,
da un lato non posso che dirmi lusingato dell'inaspettato numero di contatti giornalieri: vuol dire che ci siete e vi state affezionando a questo piccolo angolo virtuale. Dall'altro, tuttavia, devo registrare una certa ritrosia nell'inserimento dei commenti. Eppure questo blog è nato proprio con l'idea di favorire un contatto fra voi e me e fra voi stessi. Alla ricerca di una ragione possibile, ho immaginato che indirizzare la vostra attenzione su temi predeterminati possa rappresentare in qualche modo una sorta di vincolo che non stimola l'impulso a partecipare attivamente. Per questo, ho pensato di introdurre nel blog uno spazio libero, non agganciato a questo o a quell'argomento, e ho voluto chiamarlo "Uno spazio per il dialogo", collegato all'etichetta "parliamo e basta".
Qui potrete esprimere la vostra opinione su qualunque cosa vi passi per la mente, purché attinente al carattere generale del blog e alla sua ispirazione di fondo. In particolare, ho immaginato questo nuovo spazio come l'angolo della strada, un luogo ove si ritrovano amici che hanno voglia di scambiare quattro chiacchere fra loro e intendono improntare lo scambio al rispetto reciproco e alla disponibilità ad ascoltare e a discutere opinioni diverse da quelle personali.
Dunque, come ho detto in apertura, potrete parlare con me e tra di voi.
Ovviamente, devo dare per scontato che i miei lettori non abuseranno dell'occasione e delle tentazioni offerte dall'anonimato. In ogni caso, mi faccio carico del ruolo di moderatore e di intervenire ove necessario.
Approfittate dell'occasione e date un calcio alla timidezza o all'indifferenza. Pensare che sia inutile scrivere, "tanto lo farà qualcun altro" è un errore: ciò che abbiamo da dire noi, per come noi lo pensiamo, non può farlo nessun altro.
A presto, allora: l'angolo della strada ci aspetta.

lunedì 12 ottobre 2009

La signora del borgo: il contesto storico

Premessa
Un mio docente di università soleva dire che le idee di Platone stanno lì appese come i provoloni, nel senso che, secondo lui, non avrebbero una base di appoggio né una contiguità con quello che ne dovrebbe conseguire. Insomma, un modo pittoresco e gustoso per dire che sono campate in aria.
Io non mi permetto di entrare nel merito (non voglio far torto a Platone e nemmeno al mio salace docente), soltanto non vorrei che vicende e personaggi del romanzo diventassero anch’essi provoloni per andare a far compagnia a quelli già pendenti. Intendo dire che, come i personaggi e i fatti di una rappresentazione teatrale hanno bisogno di una scena sullo sfondo della quale proiettarsi, altrettanto accade per quelli di un romanzo: il lettore deve poterli collocare immediatamente e senza nebulosità in un contesto temporale ben delineato. Sennò come fa a immaginarseli vivi e concreti…
Per questo, ho deciso di arricchire il blog con qualche notizia storica attinente al periodo e ai luoghi per come essi erano al tempo cui si riferisce la narrazione, nella presunzione che il mio eroico visitatore non si scoraggi alle prime righe e abbia la pazienza di arrivare fino in fondo.

L’assetto politico in Italia alla fine del Quattrocento
Il periodo coperto dalla narrazione, che si estende tra il 1490 e il 1494, è segnato da alcuni importanti avvenimenti: primi fra tutti, la scoperta delle terre oltre oceano, la morte a Firenze di Lorenzo dei Medici e l’ascesa al soglio pontificio di papa Rodrigo Borgia col nome di Alessandro VI. A differenza delle altre nazioni europee, dove vanno consolidandosi stati centrali di grandi dimensioni, l’Italia resta frammentata in una pletora di staterelli fra cui i più importanti per estensione e influenza politica, sono:
il Regno di Napoli, che si estende dall’attuale Abruzzo fino alla Sicilia e alla Sardegna, espressione della monarchia aragonese;
lo Stato della Chiesa, comprendente approssimativamente il Lazio, le Marche e l’Emilia-Romagna;
la repubblica di Firenze, sottoposta alla signoria dei Medici;
il Ducato di Milano, governato dalla dinastia degli Sforza, che copre quasi tutta l’attuale Lombardia sino a toccare, nella parte più meridionale, la repubblica fiorentina;
la Repubblica di Venezia, che può vantare un assetto governativo stabile e perseguire in tal modo una politica di supremazia.
Altre entità sovrane sono il Ducato di Mantova, governato dai Gonzaga, il Ducato di Ferrara, sottomesso alla signoria degli Estensi, la Repubblica di Genova, la piccola Repubblica di Lucca e quella di Siena.
Per ciò che attiene alla narrazione, è opportuno puntare l’attenzione sullo Stato della Chiesa per il quale vige una condizione che lo differenzia ulteriormente dalle entità politiche citate prima. Il problema centrale è rappresentato dal fatto che a Roma non poteva esserci una dinastia e questo indeboliva indubbiamente il potere centrale. Di fatto, i singoli signori dello Stato della Chiesa, che detenevano il potere in questa o quella città, rappresentavano l’ultima propaggine del sistema feudale: in pratica si consideravano alla stregua di principi indipendenti e perciò poco inclini a sottomettersi a un’autorità centrale. Tale stato di cose era poi aggravato da un ulteriore elemento di debolezza: l’adozione da parte del pontefice di una politica nepotistica la quale, più che mirare a distribuire cariche e uffici ecclesiastici ai propri parenti, tendeva a costituire all’interno dello stesso stato dei domini indipendenti e personali da assegnare ai familiari del papa. A questo riguardo, resta emblematico il ruolo giocato da Rodrigo Borgia (papa Alessandro VI) a favore del figlio Cesare Borgia (il duca Valentino). Val la pena ricordare che il papa in questione era già fortemente discusso perché accusato di aver guadagnato il soglio pontificio a seguito di pratiche di simonia.
L’instabilità endemica degli stati italiani è aggravata dalla morte di Lorenzo dei Medici, che va a rompere il delicato gioco di equilibri tutto incardinato sulla collaborazione tra Milano, Firenze e Napoli. La scomparsa del signore di Firenze rende più problematica un’intesa già precaria a causa del progressivo deteriorarsi dei rapporti tra gli Sforza e il Regno di Napoli. Tutto questo accade proprio alla vigilia dell’ingresso in Italia di Carlo VIII, il re francese forte di un esercito di circa quattromila uomini, il cui intervento è invocato dagli oppositori agli Sforza, alla famiglia medicea, agli stessi aragonesi e, infine, ai Borgia.

La Marca Anconetana al tramonto del XV secolo
Il territorio marchigiano rappresenta un’ulteriore frammentazione all’interno del già frammentato Stato Pontificio e le scaramucce tra le diverse famiglie che si contendono il predominio non sono rare. A garantire un minimo di stabilità, se non proprio di unità, provvedono le Costituzioni Egidiane, vigenti sin dal 1357 e promulgate a Fano a opera del cardinale Egidio Albornoz, vicario generale degli stati pontifici.
Le Costituzioni, rappresentano una raccolta di leggi suddivise in sei libri. Queste, oltre a elencare le disposizioni papali emanate nel tempo, tendono a disciplinare i rapporti tra i diversi signori e tra loro e il papato.
I territori della Marca sono smembrati in signorie che fanno capo alle famiglie più importanti dell’epoca, che sono:

i Malatesta a Rimini e a Pesaro. Ottennero la signoria nel 1295 e la mantennero fino al 1503,
quando cadde a opera di Cesare Borgia. Uno degli esponenti più importanti della famiglia, Roberto Malatesta, fu visto combattere in diverse occasioni a fianco di Federico da Montefeltro, del quale aveva sposato la figlia secondogenita Elisabetta rimasta poi vedova nel 1482. In seguito al lutto, Elisabetta si ritirò nel convento delle clarisse a Urbino.
Elisabetta da Montefeltro è uno dei personaggi secondari del romanzo: il periodo della sua permanenza nel convento di Urbino corrisponde agli anni della narrazione; coincidenti, e storicamente accertati, sono anche alcuni particolari ai quali si fa cenno nel romanzo;

Montefeltro a Urbino, ove la signoria si consolidò a partire dal 1234. Con Federico di Montefeltro la città di Urbino vive un periodo di grande splendore e il prestigio dei Montefeltro si accresce, tant’è che nel 1444 quella che in origine era una contea diventa un ducato. Nel 1472 a Federico succede il figlio Guidubaldo (anch’egli citato nel corso della narrazione), che resta al potere fino al 1502, quando le terre del ducato sono invase da Cesare Borgia;

da Varano, signori di Camerino sin dal 1259. Ottengono il massimo splendore alla fine del ‘400.
Camerino è un centro pieno di fermento culturale e può vantare una università di prestigio, la cui fama è dovuta soprattutto alla straordinaria fioritura degli studi giuridici. Testimoni del tempo, ad esempio Cino da Pistoia, riportano che non era raro trovare scuole giuridiche attive addirittura nei borghi.

L’economia della marca non è molto fiorente, anche perché il periodo è funestato dall’alternarsi delle pestilenze che vanno a impoverire progressivamente la forza lavoro. L’eccezione, all’interno di un contesto sociale ed economico se non depresso certamente neppure florido, è forse rappresentata da Macerata che, liberatasi a metà del secolo dal giogo degli Sforza, si sottomette di nuovo allo Stato della Chiesa ottenendo in cambio l’istituzione permanente della Corte Generale de lo Rectore de Sancta Chiesa e divenendo ufficialmente capoluogo della Marca Anconetana. Da allora viene dato il via alla trasformazione della città che, da centro prevalentemente agricolo, evolve in centro politico-burocratico della regione. È in quello stesso periodo che si assiste a un imponente flusso immigratorio che porta nei territori maceratesi una pletora di impiegati, notai, magistrati, soldati, ecclesiastici, ma anche spie e personaggi di dubbia reputazione.
In ogni caso, l’avvenimento provoca un forte impulso anche a livello economico ed urbanistico: l’afflusso di maestranze lombarde verificatosi nei primi anni del secolo trova l’ambiente adatto a uno stabile insediamento e all’avvio di importanti opere pubbliche e private.
In sintesi, se si eccettua un certo fermento dovuto all’edilizia e in particolare alla realizzazione dei nuovi sistemi di difesa delle città più importanti – le armi da fuoco (principalmente bombarde) avevano già fatto la loro comparsa –, se ne può concludere che l’economia dei territori marchigiani ruota sulle attività di sempre: agricoltura, artigianato e commercio.



Cultura e idee nella vita quotidiana tra fine Quattrocento e inizio Cinquecento
Nel corso dell’intero medioevo l’unica istituzione che aveva garantito continuità culturale era stata la Chiesa. Ma, all’epoca dei fatti narrati nel romanzo, a partire da ormai circa tre secoli si è verificato un evento che ha rivoluzionato il sapere, in antecedenza basato tutto sulla visione del mondo dettata da Agostino di Ippona e dai Padri della Chiesa: si sono riscoperte le opere di Aristotele e, con esse, la sua “fisica”. La natura, cioè, è ritornata a essere quella entità nella quale accadono i fenomeni osservabili e anche la sperimentazione è diventata da qualche tempo uno strumento di conoscenza. Questo nuovo approccio ha portato però a separare irrimediabilmente il mondo naturale, quello dei fenomeni che cadono sotto i sensi, dal mondo divino e soprannaturale, che resta di esclusiva pertinenza di Dio e del suo unico Figlio. Di questo mondo, imperscrutabile e inaccessibile all’intelletto umano, i soli e legittimi intermediari sono la Chiesa con i suoi ministri. Sennonché, all’epoca dei fatti narrati nel romanzo e già da molti decenni, la corruzione della Chiesa e delle sue strutture di governo è sotto gli occhi di tutti: nepotismo, simonia, rapacità di un clero avido e insaziabile hanno alimentato la frattura creatasi sul piano filosofico, trasferendola di fatto nella dimensione del quotidiano. Se nel mondo dei dotti si fa sentire l’esigenza di ricomporre materia e spirito (il fiorire delle idee neoplatoniche e magiche dilaga fino a generare defezioni nello stesso corpo della Chiesa), nella mentalità della gente semplice l’inconoscibile apre ampi spazi alla rievocazione di credenze e pratiche di stampo pagano. E così, se non proprio la stregoneria, di sicuro la magia popolare, l’astrologia (che tra l’altro viene insegnata nelle università alla pari di altre discipline), l’alchimia e tutto un insieme di pratiche empiriche ataviche e arcaiche diventano patrimonio del vivere quotidiano.
In particolare sul territorio dell’Italia centrale e di quello umbro-marchigiano tali pratiche sono enormemente diffuse: nel 1452 l’intera popolazione di Montemonaco, un paese dei monti sibillini, a partire dai priori fino all’ultimo dei popolani, viene processata con l’accusa di aver dato ospitalità a frotte di negromanti e di aver partecipato essa stessa a pratiche stregoniche. Per fortuna della popolazione, il processo si conclude con un’assoluzione generale in quanto non si sono potute raccogliere ed esibire prove oggettive a sostegno dell’accusa.
Quello del rigore formale dei processi è un altro degli aspetti dei quali tener conto: le risultanze storiche mostrano senza ombra di dubbio che più che i tribunali dell’Inquisizione, furono quelli della giustizia secolare a produrre il numero maggiore di sentenze di condanna seguite dalla pena capitale. In generale, l’inquisitore era mosso da un interesse, diremmo così, antropologico: lo scopo era comprendere la natura della devianza e le cause che l’avevano prodotta, con l’obiettivo principale di verificare se vi fossero spazi per il recupero dell’accusato e la sua reintegrazione nel corpo della Chiesa. D’altra parte, è anche vero che la Chiesa avesse ben altro di cui preoccuparsi che non di pratiche giudicate per lo più retaggio di una mentalità superstiziosa e, in fin dei conti, innocua. Ciò nonostante, non va neppure dimenticato che proprio nella seconda metà del Quattrocento (tra il 1486 e il 1487, per la precisione) viene redatto da due domenicani il famigerato Malleus maleficarum, vero e proprio manuale che servirà da guida per il riconoscimento delle streghe, vere o presunte che fossero.

In estrema sintesi, e seppure con tutte le approssimazioni che solo la rapidità della ricognizione può forse giustificare, quello qui tracciato è lo sfondo sul quale si proiettano vita e vicende dei personaggi del romanzo e a questo punto la speranza è che il futuro lettore, leggendolo, non ne tragga la sensazione di avere a che fare con entità sospese a mezz’aria.
Come i provoloni, appunto.

sabato 10 ottobre 2009

Qualcosa in più sulla trama

Cari amici,
come vi avevo anticipato qua e là, inserisco questo post per darvi qualche indizio in più sulla trama del romanzo. Vi avverto però che dovrete accontentarvi di questo, perché di più non posso (oltre che non preferisco) fare. Perciò, gustatevi questo poco in attesa del tutto...

Figlia di modesti artigiani di un piccolo borgo marchigiano, Giselle non si rassegna al destino che la società del primo Rinascimento traccia per una donna di umili condizioni. L’incontro con Eliside, la Signora, segna il punto di svolta e la giovane ad appena sedici anni inizia un percorso che la sradicherà dalle proprie origini per condurla progressivamente a identificarsi con una dimensione del femminile arcaica quanto inimmaginabile. Ma il tracciato stabilito dal fato non è lineare e, a cammino appena iniziato, la vita di Giselle si intreccia con le traiettorie di altre esistenze. Così, coinvolta per caso in un fatto di sangue, la giovane viene avviluppata in un groviglio di vicende costellate da una sequenza di morti misteriose fino a trovarsi di fronte all’Inquisizione per rispondere dell’accusa di eresia e di pratica della magia.

giovedì 1 ottobre 2009

La signora del borgo: i personaggi del romanzo

Cari amici, vi presento i personaggi principali del romanzo.
Li tratteggerò appena, in modo da non privarvi del piacere di scoprirli da voi stessi poco alla volta, per come appaiono, si strutturano e crescono nel corso della narrazione. Considerate che i personaggi sono vivi, quindi sono soggetti a mutare in funzione delle vicende che attraversano. Per alcuni di loro quelle stesse vicende fanno da cavatappi: fanno saltare il turacciolo della vernice di facciata e così la natura vera, quella profonda e nascosta sotto la maschera quotidiana e condivisa con le altre maschere sociali, si manifesta per quella che è, in un senso o nell’altro.

Comincio da Giselle, la protagonista.
Si tratta di una ragazza di umili origini, ma con la fortuna di possedere un minimo di istruzione che le è stata trasmessa dalla nonna. Giselle appartiene a una famiglia di artigiani che fabbrica cesti e cose simili. Non disdegna il lavoro, ma avverte impellente l’impulso a dare un senso diverso alla propria esistenza e sente che la sua vita punta in altra direzione. L’incontro con Eliside, che avviene in circostanze drammatiche, è determinante. Da quel momento la giovane si avvia lungo la direttrice che la porterà verso il proprio destino, quello che lei stessa ha voluto in qualche modo coagulare con la determinazione del carattere e la consapevolezza delle scelte.

Eliside è “la Signora”. Di lei si sa poco o nulla. La gente del borgo va raccontando che sia dotata di poteri sovrannaturali. Fatto sta che certi suoi interventi a favore di chi soffre appaiono straordinari, per non dire miracolosi. È una donna senza età e senza tempo. Ma è veramente soltanto una donna? Per il modo silenzioso e fattivo che dimostra nel determinare il corso degli eventi si direbbe una “tessitrice”: sembrerebbe infatti che l’ordito e la trama degli avvenimenti intrecciati sul telaio della vita le siano noti sin negli interstizi più reconditi e imperscrutabili, là dove lo sguardo dell’uomo comune non è in grado di arrivare…

Cecco Tolomei è un giovane studente di medicina. Figlio del notaio della cittadella, è spensierato e simpatico. L’incontro con Giselle segnerà un punto di svolta inaspettato: da quel momento la traiettoria della sua vita e quella della vita della giovane paiono accomunati da un identico disegno che passa attraverso i tenebrosi meandri delle passioni umane.

Corinda dei Baldi Contini è la madre di Cecco. Soggetta alla figura imponente e per certi versi oppressiva del marito, il notaio Ugo Tolomei, vive la condizione di donna e il ruolo di moglie in ossequio alle regole e alle aspettative della società del tempo. Fino a quando…

Lucrezia Zanghi, amica di Eliside e poi di Giselle è una donna emancipata, dallo spirito libero e indipendente. Vivace, intelligente e pronta, non fa venire meno il proprio sostegno ogni volta che le circostanze lo richiedono.

Claretta è l’amica d’infanzia di Giselle, dalla quale la separa il carattere diametralmente opposto, così come è opposta la visione che ha dell’esistenza e dello scopo della vita. Si direbbe una ragazza comune, se non fosse che comuni le vicende attraversate dall’amica Giselle non lo siano affatto. E le vicende di un’amica d’infanzia non possono non toccarla…

Uberto è il fratello “difficile” di Giselle. Più che gli incontri, nel suo caso diventano determinanti le circostanze, che lo portano a giocare un ruolo centrale manovrato dalle forze insondabili generate dall’intersezione delle traiettorie individuali.

Don Costanzo Guiderdini è il magistrato della cittadella. Odia insetti e ragni, verso i quali nutre una vera e propria avversione. Chiamato a investigare su una lunga e misteriosa catena di delitti che insanguinano le contrade governate dal signore della cittadella, si trova di fronte a sviluppi impensati e travolgenti.

Sua Grazia è il signore della cittadella. Resta senza nome per l’intera durata del romanzo (forse ne avrà uno in seguito?). Convinto assertore della giustizia, è costretto a districarsi fra ragioni di opportunità politica (la cittadella si trova in un punto imprecisato fra l’Umbria e la Marca Anconetana, entrambe sotto il dominio della Chiesa) e piccole miserie umane. È un personaggio destinato a crescere…

Capitan Sparviero è il capitano delle guardie della cittadella. Il nomignolo gli viene dalla particolare espressione del viso, che ricorda quella di un uccello rapace. Il suo modo di fare è rude, da buon militare; tuttavia è leale e fidato. Anche per lui diventa impossibile opporsi alla forza delle vicende, così è spinto a passare dalle lenzuola del letto di Gelinda (insolita figura di donna di piacere), alle incombenze che gli derivano dal ruolo.

Don Tonino è il curato cui sono state affidate le anime degli abitanti del borgo e dei contadini del fondovalle. Ormai piuttosto avanti negli anni, vorrebbe vivere in tranquillità gli ultimi scampoli di esistenza; sennonché, l’imprevedibilità della vita lo costringe, quando meno se lo aspetta, a portare sulle spalle un pesante fardello.

Anselmo da Sassoferrato è l’inquisitore. Figura indecifrabile, ha i propri inamovibili riferimenti nella certezza della fede e nella forza del diritto. Per lui l’incontro con Giselle è sconvolgente: il frate si rende conto, drammaticamente, che il significato della propria esistenza è appeso al filo di un giudizio…

Questi, cari amici, i personaggi centrali del romanzo. Ma ve ne sono molti, molti altri che incontrerete nel corso della lettura. Per ragioni di spazio e per non abusare più del dovuto della vostra pazienza sono costretto a fermarmi a “quella sporca dozzina”, procurando così un torto a quelli che, come il vescovo (Sua Eminenza), Mastro Ricuccio, l’ebanista del borgo, la Gorgona e Flora, detenute nelle prigioni della cittadella, e altri avrebbero ben meritato un pizzico di attenzione.

A presto, dunque. Sono impaziente di leggere i vostri commenti.

mercoledì 30 settembre 2009

La signora del borgo: la trama

Amici lettori, questo spazio è dedicato ai vostri commenti sulla trama.
Ovviamente, al momento non posso anticipare nulla, se non che la protagonista, Giselle, nella ricerca di una dimensione di donna che l'appaghi, si trova ad attraversare la realtà cruda della quotidianità, fatta di aspirazioni e adattamenti, di incontri e circostanze, alcune di queste drammatiche, che mettono a dura prova la sua determinazione. Nella struttura della narrazione gli incontri sono determinanti, assai più delle circostanze, perché gli incontri possono segnare punti di svolta.
Negli incontri entrano in contatto visioni diverse della vita, valori che possono essere contrapposti. Ancora, nel corso degli incontri si intersecano traiettorie che quasi mai sono sovrapponibili e talvolta puntano a scopi che sono addirittura divergenti. Da tutto questo può nascere il conflitto, e il conflitto non è mai a esito scontato.
Insomma, si tratta dell'eterno confronto tra forze contrapposte che si consuma sul palcoscenico della vita. Questa volta, però, la contrapposizione non è tra il bene e il male, bensì tra la necessità e la libertà: la necessità imposta dalle linee tracciate dallo spirito del tempo - e Giselle è una ragazza figlia del proprio tempo - e la libertà di scegliere per sé stessi un destino che non sia quello prevedibile e banale voluto dalle consuetudini vigenti e dalle condizioni della nascita. Insomma, un destino da plasmare con le proprie mani e da vivere poi in coerenza con la scelta fatta.
Tra necessità e libertà, quale delle due avrà il sopravvento?
Lo scoprirete leggendo...

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